Il Fondo Castellani
I manoscritti già collezione privata dell’accademico Arrigo Castellani (1920-2004) sono stati donati dagli eredi del linguista fiorentino all’Accademia della Crusca il 20 maggio 2016.
Al loro ingresso in Biblioteca, la necessità di valorizzare l’entità della raccolta e salvaguardarne l’unità ha comportato la costituzione di un fondo distinto, il fondo Castellani. E nonostante già in passato la Biblioteca accademica avesse incrementato la propria raccolta in grazia di lasciti, non solo di unità singole, ma anche di piccole sillogi, il fondo Castellani è l’unico fondo manoscritto per il quale nella storia della Biblioteca, dalla ricostituzione napoleonica a oggi, si sia ritenuto di adottare tale misura. Esso è dunque l’unico fondo aggregato delle collezioni manoscritte della Biblioteca, ossia l’unico attualmente esistente oltre al fondo principale.
Il fondo si compone di dodici unità. Il corpus consegnato all’Accademia della Crusca, tuttavia, non esaurisce la collezione messa insieme da Castellani. Un inventario autografo, tuttora conservato presso gli eredi, conta – escludendo i materiali di interesse familiare o privato –, ventidue item, dunque dieci in più di quelli confluiti negli armadi della Crusca.
Le circostanze di formazione di questa collezione sono ricostruibili con discreta dovizia di elementi. Castellani, infatti, era solito registrare a lapis ricordi di acquisizione sui fogli di guardia o sui contropiatti, e conservare nel tempo le ricevute di acconto o di pagamento dei pezzi. Per quanto accertabile, tutti i manoscritti furono acquistati presso storiche librerie dell’antiquariato fiorentine: la libreria Gonnelli (via Ricasoli), la libreria Gozzini (via Ricasoli), la libreria Valleri (via Ricasoli – via degli Alfani), la libreria Caldini (via Tornabuoni) e altre. E le acquisizioni databili si raccolgono in un arco di tempo relativamente concentrato, non più lungo di un quindicennio, e suggeriscono una vocazione non precoce, risalendo quella con datazione più alta al 26 gennaio 1977 (ms. 3) e la più recente a un imprecisato momento della fine degli anni Ottanta (ms. 12, in un contributo del ’97 scriveva di averlo ottenuto «sette o otto anni fa»).
La composizione della collezione, che non risponde a un programma collezionistico precisamente indirizzato, ma dipende dall’offerta e dalle disponibilità del mercato antiquario, presenta una sensibile eterogeneità interna. Vi si trovano, infatti, anzitutto, manoscritti letterari e materiali che più propriamente sarebbero di pertinenza archivistica: pergamene, documenti, ‘scritture’ di carattere privato. Vi coesistono, inoltre, unità dalla consistenza notevolmente difforme, che rendono puramente indicativo il computo di dodici item: se il ms. 12, un anonimo inventario quattrocentesco, consta di un singolo foglio di pergamena – un frammento messo in salvo da un volume a stampa secentesco di cui costituiva la coperta membranacea –, sotto la segnatura ms. 5, all’opposto, si raccolgono trentanove lettere in volgare, di diversa origine e responsabilità, ordinate in più serie, acquisite in più tempi. E allo stesso modo, naturalmente, i manoscritti si ripartiscono lungo un ampio arco cronologico: uno nel Duecento, tre nel Trecento, due nel Quattrocento, cinque nel Cinquecento, e uno solo più recente, settecentesco.
Entro tale varietà, l’elemento di interesse che pare aver attirato l’attenzione di Castellani – quando non si tratti di testimoni di opere dei primi secoli, di manifesta importanza filologica –, è la presenza di aspetti di interesse linguistico. I codici di cui Castellani entrava in possesso non erano solo oggetto da collezione, infatti, ma oggetto di studio: ben tre dei dodici manoscritti ora della Crusca, i mss. 6, 11, 12, sono citati da Castellani nei suoi contributi, fra la Grammatica storica e quelli che postumi diventeranno i Nuovi saggi, identificati con la formula, di sorridente e superiore sprezzatura, «ms. di mia proprietà». Parzialmente sovrapposti con questi, e più numerosi, sono i casi in cui la riflessione linguistica di Castellani, la schedatura lessicale, la trascrizione, sono inedite, e ci restano testimoniate da appunti autografi o dattiloscritti su fogli allegati al codice, talvolta biglietti di riuso estemporaneamente prestati allo scopo. Il terrilogio ms. 6 doveva incontrare il suo interesse per le occorrenze, talvolta prime attestazioni, di termini tecnici relativi all’agrimensura, a particolarità del terreno e alle colture: sui fogli allegati registrava così i lemmi saldone, ‘terreno incolto e non dissodato’, vernacchieto, ‘bosco di castagni’. Del protocollo notarile ms. 11, Castellani pare interessato alle radici lessicali volgari calate nel tessuto della morfologia latina, e dunque dal manoscritto prelevava nei suoi appunti le forme carratellorum, panchecta, ramaiolum, staccium. I libri di ricevute e certe lettere, alcune femminili, potevano forse apparirgli documenti salienti come attestazioni di scritture dei semicolti.
Prima tappa della banca dati «Manoscritti della Crusca», la descrizione del fondo Castellani è stata pubblicata online nel mese di marzo del 2019.